Termini religiosi monastici (un breve acconto…)
A
Abate: parola di origine aramaica e siriana, che significa “padre”. […] In Occidente, a partire dalla regola di san Benedetto è il capo supremo di una comunità monastica e ne dirige tutta la vita spirituale e materiale. Secondo san Benedetto l’abate ammaestra il monaco come un padre fa col figlio, e insieme è il pater familias che regge con piena autorità i suoi sudditi, i quali gli devono riverenza, rispetto e obbedienza. […] Dal VII secolo l’abate è quasi sempre un sacerdote, a differenza dei semplici monaci. […] Eletto a vita da questi ultimi, l’abate è consacrato dal vescovo nella cui diocesi si trova il monastero o dall’Abate Generale del proprio Ordine se l’Ordine monastico cui appartiene lo prevede. […] (Treccani)
Abbazia: il termine deriva da abbas “abate” ed è sinonimo di monastero; può cioè indicare:
1) la comunità di religiosi […];
2) il complesso degli edifici della comunità e degli altri fabbricati che ne dipendono;
3) una chiesa anticamente monastica che ha mantenuto questo nome. […]
L’abbazia […] era un complesso organismo architettonico. Entro un grande recinto e intorno alla chiesa si trovavano disposti lungo i lati del chiostro i dormitori dei monaci, la sala capitolare destinata alle riunioni, la biblioteca (scriptorium), il refettorio; poco discosto sorgevano i fabbricati per i servizi, i magazzini, le officine, i laboratori, l’abitazione dell’abate, l’infermeria, la foresteria, l’orto con le erbe destinate alla confezione dei farmaci e la relativa farmacia. (> Treccani)
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B
Badessa: dal latino abbatissa, equivalente femminile dell’abate, e dunque superiora di un convento di monache. E’ un termine che compare già nel VI secolo, in connessione con il diffondersi del monachesimo benedettino; in alcuni monasteri doppi come quello di Fontevrault la badessa comandava anche sui monaci. (> Treccani)
Benedettini: quando il movimento monastico, nei primi secoli del cristianesimo, si diffuse in Oriente e a partire dal IV secolo anche in Occidente, non venne imposta dall’alto alcuna regola; ogni comunità monastica era libera di darsi i propri ordinamenti. Fra le diverse regole elaborate dal monachesimo latino, quella di san Benedetto (Norcia 460 circa – Montecassino dopo il 546), a sua volta derivata dalla più antica regola anonima nota come Regula Magistri, conobbe un crescente successo; finché il figlio di Carlo Magno, Ludovico il Pio, sotto l’influenza del riformatore Benedetto d’Aniane, nel capitolare emanato nel 817 ad Aquisgrana codificò norme comuni che dovevano essere valide per tutti i monaci dell’impero. […] Nei secoli immediatamente successivi si formarono congregazioni monastiche […], ciascuna delle quali dava una propria interpretazione della regola benedettina, e formava una corporazione centralizzata con un’unità di gerarchia e di governo; si parla perciò di benedettini cluniacensi, camaldolesi, vallombrosani, cisterciensi… (> Treccani)
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C
Capitolo: prende questo nome una riunione di monaci o di canonici regolari all’inizio della quale si leggeva un capitolo della regola. Da qui è sorto l’altro significato della voce, cioè assemblea generale di un ordine religioso, destinata a eleggere un nuovo superiore generale o a emanare regolamenti. Si chiama capitolo anche una comunità di ecclesiastici dipendenti da una medesima chiesa, o canonici: capitolo collegiale o collegiata se annesso a una chiesa non cattedrale, capitolo cattedrale se annesso a una chiesa cattedrale. (> Treccani)
Cenobita vs eremita: è il monaco che vive in comunità, contrapposto all’eremita, che vive in solitudine la sua esperienza religiosa. (> Treccani)
Chiostro: dal latino claustrum, “luogo chiuso”, cortile interno di un monastero, di solito con pozzo centrale, cinto da porticati, collocato fra la chiesa e altri fabbricati monastici: serviva come elemento di comunicazione, come luogo per passeggiare anche durante la cattiva stagione; inoltre l’alternarsi dell’ombra dei pilastri o delle colonne con la luce delle arcate aiuta il religioso a ritmare il passo e a concentrarsi nella preghiera e nella meditazione. (> Treccani)
Cocolla: dal latino cuculla, sopravveste dei monaci e dei frati in alcuni ordini, con maniche lunghe e cappuccio che s’infila dalla testa. (> Treccani)
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E
Eremita: dal greco, “chi vive solitario” o “nel deserto”; persona che per motivi religiosi si apparta dal mondo sia spiritualmente che fisicamente. Nel monachesimo delle origini la connotazione eremitica era assai diffusa; in seguito prevalse quella cenobitica, cioè comunitaria. (> Treccani)
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F
Frate: da frater, “fratello”; religioso che appartiene agli ordini mendicanti, appellativo conosciuto a partire dal loro sorgere, nel XIII secolo.
Nel Medioevo l’appellativo era, a dire il vero, attribuito a volte anche ai monaci o ai canonici regolari; è preferibile, tuttavia, applicarlo solo ai Mendicanti, per meglio sottolineare la differenza fra questi ultimi e i monaci. (> Treccani)
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M
Monaco, Monachesimo: dal greco monos, “solo”. Il desiderio di seguire Cristo abbandonando tutti i piaceri del mondo spinse già nel II secolo vari cristiani ad abbandonare la città, dove non ritenevano di poter seguire fino in fondo i precetti evangelici, e ritirarsi in luoghi solitari. In Oriente, a partire dal III secolo, fu il deserto della Tebaide (dalla città di Tebe, in Egitto, fino al delta del Nilo) ad accogliere monaci, così detti in quanto inizialmente vivevano nel più completo isolamento, ciascuno nella propria capanna; si chiamarono così anacoreti (dal tema del verbo greco che significa “ritirarsi”) o eremiti (dalla voce greca che significa “deserto”). Il tipo di vita prescelto era molto arduo da realizzare: la solitudine assoluta, le penitenze durissime. […]
Nel IV e V secolo prendono corpo forme attenuate di anacoretismo: i monaci vivono ritirati ma ricevono di tanto in tanto visite di compagni alla ricerca di consigli e di sostegno spirituale; oppure la vita in solitudine, che comprende anche il lavoro, (fabbricazione di ceste e stuoie) e non solo meditazione e penitenza, è interrotta da periodiche riunioni. […] Pacomio (292-346) fu il primo organizzatore della vita cenobitica, costruendo nella Tebaide un monastero dove i monaci, vivendo in comune, ubbidivano a un superiore chiamato “abate”, cioè “padre”, seguendo una regola che non si limitava a prescrivere esercizi di pietà ma anche norme di vita quotidiana. Queste istituzioni (monastero, regola, abate) costituiscono le strutture fondamentali del cenobitismo (dal greco “vita in comune”), cioè del monachesimo come sarà concepito anche in Occidente. Con Basilio, nato nel 330 circa a Cesarea in Cappadocia, l’ideale cenobitico è perfezionato: viene sottolineata l’obbedienza all’abate; il monaco deve conservare stabile dimora nel monastero né può abbandonare la comunità in cui è entrato; ha l’obbligo di partecipare con i confratelli agli uffici divini, prendere in comune i pasti e lavorare, dando la preferenza al lavoro intellettuale. Ancora oggi la maggior parte dei monaci greco-ortodossi segue la regola di san Basilio. […]
In Italia, sotto la protezione del re longobardo Agilulfo, ariano ma tollerante, [l’irlandese] san Colombano fondò l’abbazia di Bobbio, dove morì nel 615. Nella regola di san Colombano è riservato largo spazio alla liturgia e al lavoro intellettuale; la dura vita di mortificazione (molti digiuni, sonno scarso, cibo mediocre) e di ascesi contempla molte punizioni corporali, come le battiture inflitte anche per piccole infrazioni.
Carattere più moderato presenta la regola di san Benedetto, largamente esemplata sulla precedente, e anonima, Regula Magistri, e destinata a diventare la regola comune di tutto il monachesimo latino. In essa si insiste sulla vita comune dei monaci, come una famiglia stabile di fratelli guidata dal padre, l’abate. […] Il monaco si perfeziona nell’ascesi e coopera a quella altrui nella preghiera liturgica in comune (Opus Dei). Lavora assiduamente, ma il suo è piuttosto un lavoro intellettuale, e solo in caso di necessità si adatta al lavoro dei campi: fra gli strumenti che il novizio riceve ci sono lo stilo e la tavoletta cerata, cioè il necessario per scrivere, ma nessuno strumento agricolo. Il monaco è legato al suo monastero: stabilitas loci e conversio morum, cioè impegno a non uscire più dal monastero e totale cambiamento di condotta di vita sono i punti qualificanti della regola. La regola di san Benedetto consente ai singoli monaci la vita eremitica, ma solo per periodi assai brevi e col permesso dell’abate, che deve concederlo soltanto quando il monaco abbia dato ampie prove di solidità ed equilibrio, perché nella solitudine egli è facile preda del demonio e del peccato. (> Treccani)
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O
Oblato: dal latino oblatus, participio passato di offerre, “offerto [a Dio]”; chi è stato consacrato a Dio fin dall’infanzia dai genitori e perciò “offerto” a un monastero o a un convento. […] La regola benedettina ammette l’esistenza di oblati e oblate (ai quali fino al XIII secolo fu impedito un ritorno al mondo, anche se prima dei sedici anni, non si poteva votare il voto di castità) e così gli ordini mendicanti e i canonici regolari. […] Il Concilio di Trento abolì questa pratica, decretando non valida la professione fatta prima dei sedici anni. […] Oggi gli oblati sono laici adulti, consacrati o coniugati, legati da una formula di donazione della propria vita nel mondo a un Ordine monastico o a una comunità monastica. (> Treccani)
Ordine: è un concetto chiave della cultura cristiana medievale, che può assumere forme diverse. […] Col diffondersi del monachesimo, e soprattutto col moltiplicarsi al suo interno di diverse regole e forme di vita a partire dall’età della riforma ecclesiastica, si cominciò a parlare di ordine per indicare un insieme di comunità che vivevano tutte secondo la stessa regola e, di solito, obbedivano a un’unica autorità. All’inizio la parola ordine se applicata ai benedettini indicava la totalità dello stato monastico, dato che ogni singolo monastero era perfettamente autonomo e governato dal proprio abate; più tardi, con Benedetto d’Aniane, appoggiato da Ludovico il Pio, la parola passò a significare un determinato tenore di vita e una determinata osservanza, non ancora però un’unità giuridica; Ludovico il Pio nel capitolare emanato nell’817 ad Aquisgrana codificò le norme comuni per i Benedettini, che dovevano essere valide per tutto l’impero. Solo gradatamente si aggiunse l’idea di una corporazione centralizzata con un’unità di gerarchia e di governo: in questo senso la si trova applicata dai Cluniacensi e dai Cisterciensi. […] (> Ordini religiosi-Treccani)
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P
Priore: da prior, “il primo dei due”, utilizzato fin dall’epoca classica per designare il primo di un gruppo o un superiore. In ambito monastico, nelle antiche regole indica colui che fa le veci dell’abate; nella regola di san Benedetto è detto anche praepositum o prior claustralis. Con il termine “priore” si può anche intendere il capo di un monastero che dipende dall’abbazia madre. […] (> Vocabolario Treccani)
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R
Regola: da regula, nel significato originario di “assicella”, “regolo”, per traslato “norma”, a sua volta da regĕre, “guidare dritto”; con questa parola nella tradizione cristiana si intendono quelle norme che organizzano la vita del singolo e della collettività per raggiungere i più alti gradi di perfezione. Storicamente sono quattro le regole che hanno avuto particolare importanza.
La prima è la regola di san Basilio, applicata alla vita monastica della Chiesa greca.
La seconda è la regola di sant’Agostino, la cosiddetta terza regola di sant’Agostino (praeceptum), attribuita al santo e adottata a partire dall’XI secolo dai canonici regolari e da altri ordini religiosi. Poiché sia i frati Agostiniani o Eremitani di sant’Agostino che i canonici regolari avevano adottato la stessa regola sorsero vivacissime dispute fra i due ordini.
Terza regola è quella di san Benedetto, che applicata con alcune varianti e interpretazioni è alla base di tutte le congregazioni monastiche dell’Occidente latino.
Infine, quarta regola è quella di san Francesco adottata dai Francescani o frati Minori, che ha avuto particolare influenza sugli ordini sorti dopo il XIII secolo. (>Vocabolario Treccani)
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S
Scapolare: dal latino medievale scapula, “spalla”; una sopraveste con cappuccio, costituita da una striscia rettangolare con al centro un buco per farvi passare la testa, tenuta stretta in vita da una cintura, indossata dai Benedettini e da altri ordini monastici per preservare la veste ordinaria. (> Vocabolario Treccani)
Scriptorium: dal latino scribĕre, “scrivere”; nei monasteri e nei conventi era il locale destinato alla scrittura e alla miniatura per la preparazione dei codici, solitamente posto accanto alla biblioteca o nella biblioteca medesima, dove doveva regnare il silenzio; l’ingresso era permesso solo agli amanuensi, al bibliotecario e ai superiori. (> Vocabolario Treccani)
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